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Secondo il rapporto, un tipico processo idrometallurgico lo consente riciclare circa il 60% dei materiali in entrata attraverso le fasi di smontaggio, pretrattamento e trattamento, per un totale che potrebbe arrivare fino a 2,1 milioni di tonnellate in Europa entro il 2050 (0,2 in Italia).
Secondo le proiezioni, nichel, cobalto e litio contenuti nel catodo costituirebbero il 13% dei volumi potenzialmente riciclati e potrebbero essere rivenduti generando margini che dipenderanno dai prezzi di mercato: a patto, ovviamente, che il processo di estrazione sia in grado di garantire risultati ottimali dal punto di vista qualitativo. Fondamentale, in tal senso, sarà il ruolo incentivante della normativa comunitaria e nazionale. I ricavi generati dalla vendita di nichel, cobalto e litio riciclati, secondo gli esperti, oscilleranno tra 4 e 6 miliardi di euro in Europa (entro il 2050; tra 0,4 e 0,6 in Italia), con margini tra 1,2 e 3,2 miliardi di euro in Europa (tra 0,1 e 0,3 in Italia).
I problemi
Come dicevamo, non sarà una passeggiata. Lo smontaggio è una procedura pericolosa, e richiede maestranze qualificate esposte ai fumi e al rischio di esplosione. Difficile automatizzarlo, perché fatto di operazioni non ripetitive: il motivo sta nel fatto che ogni dispositivo ha le sue specifiche, che spesso variano anche all’interno dell’offerta di una singola casa automobilistica. A questo punto, l’Europa sta cercando di rispondere spingendo per la creazione di una sorta di passaggio batteria digitaleIL condivisione centrale delle informazioni per il recupero, da esplicitare su un’etichetta visibile: data di produzione, marchio, ma soprattutto informazioni relative alla composizione chimica, fondamentali per ottimizzare i processi e aumentare l’efficienza della filiera del riciclo. Un consorzio di imprese ha accettato la sfida l’anno scorso. Per un salto di qualità, i regolamenti dovranno dettarlo i nuovi dispositivi sono progettati con la stella polare del riutilizzo.
In secondo luogo, è importante difendere la creazione di filiere continentali del fine vita. Gli accumuli di batterie esauste creano inquinamento ambientale ed elevati rischi di esplosione. A livello globale c’è chi non fa il sottile: il business dei rifiuti è estremamente attrattivo per i Paesi asiatici, sottolineano Marcello Colledani (Politecnico di Milano) e Massimo Leonardo (Pwc), coordinatori del rapporto. “Ma meglio evitare quanto già accaduto con altri prodotti, come la plastica, con paesi come la Cina che improvvisamente hanno fermato ad accettarlo”. Una prima linea di difesa è il normativa antidumping di Bruxelles; una seconda barriera risiede nel know-how tecnologico necessario per il lavoro (“Se gli standard sono alti diventa difficile entrare nel mercato”, affermano gli autori). Infine, è necessario garantire un migliore accesso al capitale.
La logistica sarà fondamentale. Un ruolo potrebbe essere giocato dalle case automobilistiche, che al momento non sono tenute a installare sistemi di gestione della batteria, ma solo a garantire una soluzione sostenibile. Il fatto che siano interessati al settore significa che ci sono opportunità: in questo senso, la diffusione di metodi di uso dei veicoli come servizio ne risulterebbe un’agevolazione, lasciando la proprietà al produttore che potrebbe anche organizzarne lo smaltimento. L’ultimo fattore chiave menzionato per la gestione dei dispositivi sarà il miglioramento di tecnologie di valutazione dello stato di salute della batteria: la capacità, cioè, di avere una seconda vita. La transizione energetica è inevitabile: ma se servono buone intenzioni attuare politiche green è molto più difficile.
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