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IL laboratori Per aumentano gli agenti patogeni pericolosi. E non è una sorpresa, guardando indietro. Ogni volta che il pericolo di bioterrorismo o la paura di uno pandemia c’è stato un aumento del numero di laboratori dedicati allo studio di agenti biologici pericolosi. COVID 19 non ha fatto eccezione, con il risultato che nel giro di due anni il numero dei laboratori di massima sicurezza è aumentato di dieci. Un numero di per sé piccolo, ma enorme considerando che oggi nel mondo tra gli attivi e quelli in via di attivazione ce ne sono in totale 69. E con l’aumento dei laboratori, e quindi delle attività di ricerca, anche i possibili timori incidenti. Un tema – quello di perdita di laboratorio – attuale negli ultimi anni, con l’arrivo della pandemia e la ricerca sulle origini del Covid-19.
Non è un invito a smettere di fare ricerca su agenti patogeni pericolosi o potenzialmente pericolosi, quello contenuto nelle pagine di Rapporto Global BioLabs 2023UNiniziativa del King’s College di Londrache ha mappato la distribuzione dei laboratori con alti livelli di biosicurezza, insieme al George Mason University e ai colleghi del Il Bollettino degli scienziati atomici (come l’orologio dell’apocalisse). È piuttosto una riflessione sul fatto che questa crescita non è stata la stessa a livello di politiche e strumenti di gestione del rischio. Se aumentano i laboratori, e se aumentano soprattutto nei paesi instabili, il rischio – di per sé mai pari a zero – aumenta. E se la pandemia da un lato spinge alla necessità della ricerca sul campo, dovrebbe anche spingere a rafforzare le misure di sicurezza.
Laboratori e livelli di biosicurezza
Per capire di cosa stiamo parlando è opportuno ricordare cosa si intende per laboratori di alto livello biosicurezza. I laboratori che manipolano agenti biologici sono suddivisi in quattro livelli di sicurezza, che riflettono il livello di rischio degli agenti stessi. Ovvero: quanto più pericoloso è ciò su cui si sta lavorando – sia in termini di trasmissibilità, infettività quella della malattia associata – maggiore è il livello di biosicurezza richiesti dal laboratorio, intendendo per biosicurezza tutti gli standard, i equipaggiamento per la protezione personale e il procedure richieste al personale e ai luoghi di lavoro di contenimento dei rischi, per le persone e per l’ambiente. Ad ogni livello le misure di protezione E biocontenimento sono più alti per ridurre il rischio. Quindi, se gestire ceppi di Escherichia coli può essere sufficiente lavorare in un laboratorio con un livello di biosicurezza (BSL) di primo grado, per lavorare sul tubercolosi è richiesto un livello di grado 3, mentre per agenti patogeni come ebola o il Virus di Marburgo un livello 4, come riassumono dagli americani CDC.
Ogni livello ha requisiti per garantire il protezione del personale E prevenire la contaminazione dell’ambiente, che fanno riferimento ad esempio a vari dispositivi di protezione individuale, aree di lavoro dedicate, sistemi di filtraggio dell’aria, presenza di porte automatiche, docce. Lavorare qui può essere molto faticoso e stressante, ma la necessità di strutture simili è evidente: per avere farmaci e vaccini contro un patogeno è necessario studiarlo, il problema si complica se si vuole provare a spingere la ricerca oltre. rendendo patogeni che al momento non sono più pericolosi, come vi abbiamo già raccontato degli studi di guadagno di funzionecon pareri piuttosto discordanti anche all’interno della comunità scientifica.
La crescita dei laboratori con la pandemia
Senza entrare ora nel merito dell’opportunità o meno delle ricerche condotte all’interno di questi laboratori, la questione che si pongono i ricercatori del King’s College di Londra è tutt’altra: la crescita di questi laboratori va con uno crescita adeguata del sistemi di sicurezza, anche a livello di policy e di gestione e non solo di strumenti? Succede in paesi pronti a contenere rischi simili? Perché, come dicevamo, sono aumentati i laboratori di massima sicurezza: solo per i laboratori BSL4 nel 2021 erano 59 in 23 Paesi, oggi sono 69, tra operativi e non operativi, in 27 Paesi. Dodici ne sono sorti dall’inizio della pandemia di Covid-19, ricordano gli autori, ricordando che simili spinte si erano verificate in passato dopo gli attacchi con lettere all’antrace (Bacillus antracis) o l’epidemia di SARS nel 2003. A questi vanno aggiunti 57 laboratori BSL3+, una versione potenziata del livello 3, ma meno definita e standardizzata. Entrambi i tipi si trovano principalmente in Europapoi dentro Nord America e dentro Asia – dove si concentrano i nuovi edifici – e la stragrande maggioranza si trova nei centri urbanizzati, il che, in vista di una fuga – voluta o meno – non è certo una buona notizia.
Il problema della gestione del rischio biologico
I ricercatori hanno misurato la capacità di gestire il rischio biologico dei diversi paesi in cui sono o saranno presenti laboratori di massimo contenimento. Lo hanno fatto prendendo in considerazione una serie di metriche – come la presenza di leggi rilevanti, la partecipazione ad associazioni e iniziative nazionali e internazionali, i piani di risposta ad eventuali incidenti, le modalità di formazione del personale, i sistemi di valutazione dei rischi e così via – per comprendere, a almeno sulla carta ea livello nazionale, quali paesi erano più pronti di altri. Il quadro che emerge – qui la mappa interattiva – è che i paesi sono generalmente più pronti sul fronte biosicurezza – ovvero con misure volte a prevenire l’esposizione o il rilascio accidentale di agenti patogeni – che il biosicurezza – o per prevenire l’uso improprio di agenti pericolosi. Canada, Australia e Francia sono in cima alle liste sia per la biosicurezza che per la bioprotezione, con il Canada che è l’unico paese a ottenere buoni risultati anche per quanto riguarda la governance della ricerca doppio uso, ovvero su ricerche utilizzabili per scopi civili e bellici. I ricercatori hanno quindi analizzato anche la stabilità dei paesi in cui sono presenti questi laboratori.
Le conclusioni
Il messaggio che emerge dall’analisi combinata di tutti questi parametri è che mentre crescono i laboratori di massima sicurezza, regole e piani di gestione del rischio non tengono il passo. Ma non è tutto: i prossimi laboratori saranno costruiti soprattutto in Asia, in Paesi ad alta instabilità e che non brillano negli indici di gestione del biorischio, avvertono gli autori.“C’è stato un boom globale nella costruzione di laboratori che trattano agenti patogeni pericolosi, ma questo non è stato accompagnato da un adeguato presidio in termini di biosicurezza e bioprotezione – ne ha riepilogo Filippa Lentzos del King’s College di Londra, tra gli autori del rapporto – Il nostro lavoro documenta per la prima volta il quadro attuale in tutto il mondo e fornisce raccomandazioni chiare per aiutare a colmare le attuali lacune che devono essere implementate a livello locale, nazionale e internazionale”.. In primis proprio a livello internazionale, puntando all’adozione di standard in materia di gestione del rischio biologico, alla loro implementazione a livello legislativo nazionale e alla partecipazione ad organismi internazionali che già se ne stanno occupando.
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