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Eppure, entrambi gli ostacoli potrebbero essere superati con l’ibernazione. “Tra gli adattamenti più interessanti dell’organismo per le missioni spaziali”, dice Cerri, “ci sono quelli che coinvolgono i muscoli, che non perdono tono, e le ossa, che non presentano una carenza di calcio, nonostante il lungo periodo di inattività dovuto al torpore. Gli animali lo fanno perché quando si svegliano dal letargo devono essere pronti a muoversi; nell’uomo, invece, bastano poche settimane di inattività per sviluppare l’atrofia muscolare da disuso”. Questo è ciò che accade anche agli astronauti, perché la condizione di microgravità toglie ai muscoli lo stimolo costante della gravità, riducendone il tono, oltre a colpire funzione cardiovascolare, indebolire le ossacausando la perdita di calcio, ridurre la funzione renale e compromettere il sistema immunitario. “Un importante filone di ricerca, quindi, vuole capire quali sono gli aspetti molecolari, negli animali in letargo, che permettono alla muscolatura di mantenersi tonica nonostante l’inattività”.
Ancora più interessanti sono le applicazioni della ricerca sull’ibernazione al protezione dalle radiazioniperché, mentre sembrano esserci strategie plausibili per le difficoltà legate all’assenza di gravità, non è ancora chiaro come affrontare questo problema, in quanto varie soluzioni proposte nel tempo, come i sistemi di schermatura passiva per le navette spaziali, sarebbero poco pratiche e troppo costose. Tuttavia, hibernate può offrire una possibile soluzione: le cellule degli animali sottoposti a torpore, infatti, mostrano un notevole resistenza a danno dalle radiazioni. “Piuttosto che prevenire il danno, queste cellule sono molto efficaci nel ripararlo: sembra che impieghino più tempo delle cellule normali, ma alla fine del processo mostrano tassi di sopravvivenza molto più alti. Per questo speriamo di trovare dei bersagli farmacologici che possano attivare questi processi”, aggiunge Cerri.
Altre possibilità
Oltre a questi vantaggi, le missioni spaziali potrebbero beneficiare del letargo dal punto di vista economicoperché potrebbero essere costruiti astronavi più piccolache non devono portare acqua e cibo necessari per un lungo viaggio, e con sistemi di filtrazione meno sofisticati, in quanto non ci sarebbero rifiuti biologici.
Distogliendo lo sguardo dallo spazio per un momento, la ricerca sul torpore potrebbe farlo hanno anche molte applicazioni in medicina: ad esempio, indurre l’ibernazione nei pazienti in lista d’attesa per trapianti di organi aumenterebbe le possibilità di riuscire a trovare un organo compatibile. Allo stesso modo, il letargo gioverebbe a tutte quelle condizioni o malattie che potrebbero essere curate meglio grazie a a rallentamento e dilatazione del tempo biologico: infarto del miocardio, ictus, shock settico, tumori e alcuni tipi di malattie neurologiche.
Come indurre l’ibernazione
In breve, io benefici del letargo potrebbero essercene molti. Ma gli esseri umani non sono animali che vanno in letargo naturalmente, ecco perché i ricercatori studiano come indurre l’intorpidimento artificialmentericercare strategie – soprattutto dal punto di vista farmacologico, ma anche con modalità fisiche, come l’utilizzo di ultrasuoni a fascio convergente – che possano generare questo processo in modelli animali che non sono in grado di ibernare naturalmente. Ad esempio, nel 2013 Cerri è stato il primo a ibernare in laboratorio un topo (animale non ibernante): il gruppo di ricerca stabilito che, inibendo farmacologicamente alcuni neuroni che avevano un ruolo chiave nella termoregolazione e nella difesa dal freddo, è stato possibile indurre uno stato simile al torpore naturale.
Negli anni ci sono state altre proposte, tra cui la somministrazione di una serie di molecole che ne derivanoadenosina (che però presentano diverse collaterali, soprattutto a livello cardiovascolare), il amministrazione di un mix di droghe diversecompresi xeno e beta-bloccanti, racchiusi in una vescicola in grado di raggiungere il cervello. Più recentemente, un gruppo di ricercatori giapponesi ha mostrato Che un circuito neuronale nell’ipotalamo dei roditori sarebbe in grado di indurre uno stato ipotermico e ipometabolico di lunga durata, molto simile al torpore naturale.
Unire le forze
Una volta iniziate le prime prove, l’ibernazione applicata all’esplorazione spaziale sarebbe un po’ più vicina. A proposito di tempi, anche secondo il ricercatore italiano dieci anni è una prospettiva ragionevole per i primi test sugli esseri umani. “Si tratta di un domanda principalmente dfondi e risorse umane. In questo momento, il modo in cui questo tipo di ricerca viene finanziato è istituzionale: i ricercatori scrivono progetti di ricerca che i governi o altri enti finanziano o meno; pertanto, c’è una dinamica in cui ogni laboratorio è in competizione con l’altro. Se, d’altra parte, c’era la volontà di arrivare più velocemente all’obiettivo, allora dai unire le forze invece di separarli, con i giusti finanziamenti alle spalle, ci vorrebbe ancora meno per arrivare alle prime prove e capire se il letargo umano è qualcosa che puoi effettivamente fare. Dopodiché nessuno può garantire, anche a fronte di una solida motivazione, che qualcosa funzioni nelle scienze della vita, c’è troppa variabilità, ma siamo ottimisti”. conclude il ricercatore.
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