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Il problema è che per gli Stati Uniti la quota maggiore del commercio internazionale di pollame non è costituita da uova e tacchini, ma da polli da carne, sia per la loro carne che per i sottoprodotti che gli americani non vogliono consumare, come le cosce. Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, le esportazioni di carne di pollo hanno guadagnato più del paese 5 miliardi di dollari nel 2021. Ma molti paesi che acquistano pollo negli Stati Uniti hanno da tempo rifiutato di accettare carne di polli da carne vaccinati, sostenendo che la risposta immunitaria alla vaccinazione e all’infezione influenzale è così simile che è impossibile distinguere i campioni sicuri da quelli portatori del virus. In altre parole, il settore avicolo statunitense che ha meno bisogno di un vaccino è il più a rischio di utilizzarlo, almeno economicamente.
Qualcosa si muove
L’intensità dell’attuale ondata di H5N1 nel mondo potrebbe però sovvertire questa logica. Lo scorso autunno, in occasione di a incontro internazionale a Parigi la possibilità di “rimuovere le barriere inutili” all’uso del vaccino contro l’influenza aviaria. A novembre, ilUnione Europea (UE) rilasciato nuove normative che consentono la vaccinazione del pollame a determinate condizioni, che entrerà in vigore questo mese. Dall’inizio dell’anno, i paesi dell’America centrale e meridionale dove H5N1 è appena arrivatohanno annunciato che inizieranno a vaccinare il pollame.
Alla fine del 2021, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha autorizzato a progetto di ricerca quinquennale con l’obiettivo di ricercare nuovi vaccini contro l’influenza aviaria, capire come dimostrarne l’efficacia e stabilire se l’uso dei vaccini provoca la mutazione del virus influenzale.
Un segmento della comunità di ricerca sostiene da anni che esiste un modo chiaro per distinguere gli uccelli vaccinati da quelli infetti. La strategia, chiama Diva (acronimo dell’espressione inglese che significa “differenziare gli animali infetti da quelli vaccinati”), è in grado di creare un marcatore molecolare sostituendo una proteina del ceppo utilizzato per produrre il vaccino. Quando i polli vaccinati vengono testati, mostrano anticorpi contro il ceppo sostitutivo invece che contro il tipo selvatico, dimostrando così che la loro immunità deriva dal vaccino e che sono quindi sicuri per il commercio. Questa strategia è stata utilizzata due volte in Italianel 2000 e nel 2001, per arrestare le epidemie causate dai ceppi influenzali H7N1 e H7N3 nelle popolazioni di pollame.
L’esempio italiano
“Altri paesi hanno sempre affermato che i costi associati alla vaccinazione – per il vaccino stesso, ma anche per i test e le potenziali restrizioni agli spostamenti – ne hanno fatto non valere la pena – spiega Ilaria Capuavirologo e senior fellow per la salute globale presso la Johns Hopkins Sais Europe di Bologna, che lui propose utilizzare il sistema in Italia quando lavorava all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Venezia -. Ma le barriere commerciali possono essere infrante se viene applicato un sistema che indichi che un gruppo è vaccinato e non è stato esposto al virus“.
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