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Dall’esplosione del deep learning (intorno al 2013) ad oggi, l’intelligenza artificiale è diventata una tecnologia fondamentale e in continua evoluzione, che si è via via integrata in un numero esorbitante di servizi, dispositivi e strumenti. Ne fanno uso fotocamere digitali per migliorare le tue foto, i social network lo usano per stabilire quali post vedrai, i termostati per gestire in autonomia la temperatura della nostra casa, le aziende per selezionare il curriculum vitae; arriva anche utilizzati per scopi di sorveglianzaper suggerire cosa comprare, per aiutare i magazzini a gestire la logistica e in tanti altri ambiti che sarebbe impossibile completare l’elenco.

A differenza di altre innovazioni che hanno ricevuto un’enorme attenzione da parte dei media e non sono mai stati all’altezza delle aspettative (si pensi al metaverso o alle criptovalute), l’intelligenza artificiale si è gradualmente insinuata ogni ambito della nostra vita privata e professionalefino a scomparire in secondo piano e diventare quasi invisibile (da questo punto di vista la sua evoluzione ricorda un po’ internet, che oggi alimenta praticamente tutto senza nemmeno più accorgersene).

Lo stesso accadrà probabilmente con ChatGPT e le nuove forme di intelligenza artificiale generativa, che – è bene ricordarlo – non rappresentano una novità assoluta ma un passo avanti lungo la strada già battuta dai tanti sistemi simili che li hanno preceduti. Oggi però – mentre siamo per la prima volta alle prese con strumenti in grado di parlare in modo coerente o per creare immagini dai nostri comandi di testo: è facile rimanere stupiti dalle loro imprese e pensare di essere di fronte a loro a qualcosa di intelligente o magico.

Infatti, come ha dichiarato Arthur C. Clarkeautore di 2001 Odissea nello spazio, “qualsiasi tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Col passare del tempo, però, questo effetto magico svanisceman mano che aumenta la nostra consapevolezza di come funziona davvero. Più il loro uso diventa quotidiano, più questi strumenti diventano banali. Ricordi quando Facebook ha iniziato a identificare l’identità dei nostri amici nelle foto? Sembrava una tecnologia quasi fantascientifica: oggi, invece, nessuno è più sorpreso dall’esistenza del riconoscimento facciale men che meno la considera una forma di intelligenza.

Lo stesso probabilmente accadrà con le intelligenze artificiali generative: cesseremo gradualmente di stupirci e – imparando a conoscerne il funzionamento e i limiti – a confondere il loro comportamento per qualcosa di intelligente dal punto di vista umano. Non solo: con il passare del tempo forse capiremo che non serve valutare l’andamento di questi strumenti su una scala che, al suo apice, deve portare alla vera intelligenza. D’altra parte, gli algoritmi di deep learning sono stati in grado di migliorare costantemente senza mai fare un passo avanti nella direzione della “senzienza”.

In questo processo di normalizzazione potremmo anche seguire il percorso immaginato più di settant’anni fa da Alan Turing, che a un certo punto avremmo smesso di chiederci se una macchina avesse conquistato l’intelligenza umana. E invece avremmo iniziato a farlo considera anche quella delle macchine una forma di intelligenza. Semplicemente, una forma di intelligenza molto diversa dalla nostra.

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