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In uno dei suoi passaggi più famosi Ricerca, Marcello Proust racconta la sensazione di essere improvvisamente “investiti” da memoria bevendo un cucchiaino di tè in cui aveva inzuppato un pezzo di madeleine – “una delizia deliziosa – scrive – mi aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, mi aveva reso vicissitudini indifferenti, rovesci innocui, illusoria la brevità della vita”. Poi, in un passaggio meno famoso, fa nuovamente riferimento alla memoria, questa volta in termini di musica: “Le canzoni, anche quelle brutte, servono conservare la memoria del passatopiù che musica colta, per quanto bella sia”. L’esperienza quotidiana ci insegna che è proprio così: ascoltare musica – non necessariamente Bello O colto – spesso riporta la memoria del passato. A volte ci ricorda una situazione, un momento, una persona, un luogo. A volte, quasi sinesteticamente, persino un colore o un profumo (altre volte ancora ci infastidisce, o riduce il nostro stress, o ce lo fa eseguire una determinata azione, o addirittura funge da sostanza dopante; ma quelle sono altre storie).

La spiegazione scientifica

La scienza conosce bene il fenomeno: si chiama memoria autobiografica evocata dalla musicae il suo “un fenomeno molto comunecome ha scritto di recente Kelly Jakubowskiprofessore di psicologia della musica presso il Università di Durhamin un approfondimento sull’argomento pubblicato su La conversazione. Oltre ad essere comune, è anche spesso involontarionel senso che avviene spontaneamentesenza uno sforzo attivo da parte dell’ascoltatore per recuperare un particolare ricordo: tutte queste caratteristiche rendono il fenomeno, ovviamente, un bocconcino per psicologi e neuroscienziati, che in questi anni hanno cercato di capire come e perché il potere evocativo della musica sia così forte. “Innanzitutto – spiega Jakubowski – dobbiamo tenere presente che la musica è presente in quasi tutti i momenti emotivamente più importanti della vita, come cerimonie, celebrazioni, matrimoni e funerali”il cosidetto momenti autodefinitiviquelli che incidono profondamente sulla vita. Ed è quindi del tutto ragionevole supporre che si crei un’associazione, o più precisamente una riconnessione tra la musica e questi momenti.

Musica vs parole

Ma c’è di più: anche la musica influenza pesantemente il corpo (quella voglia irresistibile di mossaper esempio, o picchiettando con le mani o con i piedi), e questo aumenta la sua potenza per catturare l’attenzione e penetrare nella mente. È ancora: “In una recente ricerca – continua Jakubowski – abbiamo confrontato la musica con altri tipi di segnali di memoria emotiva, scelti per rappresentare le stesse espressioni emotive della musica stessa”.. In altre parole, scienziati hanno paragonato la musica a “suoni emotivi”, come i rumori della natura, e le “parole emotive”, come soldi O tornado. La cosa interessante è che l’esperimento ha dimostrato che la musica evoca la stessa quantità di ricordi delle parole; ma che i ricordi evocati dalla musica lo sono Di più positivoIL rispetto a quelli evocati dalle parole, il che vale anche per gli stimoli emotivi negativi. La musica triste, ad esempio, evoca ricordi più positivi rispetto a suoni o parole tristi: “Sembra che la musica possa farci riconnettere con momenti positivi del nostro passato, il che conferma la logica scientifica della musicoterapia”.

Compagni di viaggio

In un altro studio, lo stesso team non sorprende che abbia anche confermato il ruolo di familiarità della musica (più una canzone è familiare, più è probabile che ci riconnetta con un dato ricordo) e il suo principale incisività (sempre nel senso di richiamare ricordi) rispetto ad altre forme di espressione artistica come film o libri, semplicemente perché è più frequente e più facile ascoltare una canzone che guardare un film o leggere un libro. Inoltre anche IL scenario ha peso: capita spesso di ascoltare musica quando si è in viaggio, o mentre si fa attività fisica, o mentre ci si riposa. Tutte le situazioni in cui la mente è libera di vagare. E, appunto, per riconnettersi al passato: “Tutte queste attività si allineano quasi perfettamente – spiega l’esperto – con quanto osservato in un altro studio, in cui chiedevamo ai partecipanti di tenere un diario e di annotare le circostanze in cui la musica aveva suscitato un certo ricordo: abbiamo scoperto che è proprio il attività giornaliere – viaggiare, fare le faccende domestiche, correre – per portare più frequentemente in superficie ricordi involontari. Questo non accade, invece, quando si guarda la televisione o si legge un libro, che sono attività che richiedono una maggiore concentrazione della mente”. In questo senso, insomma, la musica trarrebbe beneficio da una sorta di effetto rinforzante legato alle circostanze in cui viene utilizzato.

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